Due chiacchiere di qualità sulla qualità

HomeDalle Aree

Due chiacchiere di qualità sulla qualità

Intervista ad Aldo Pietro Maggioni, Direttore Centro Studi ANMCO

“È la qualità del nostro lavoro che piacerà a Dio e non la quantità”
Mahatma Gandhi

In un sistema sempre più complesso e di difficile sostenibilità come è oggi quello dei sistemi sanitari pubblici come il nostro, chiamati costantemente a fare scelte difficili nella direzione dell’efficienza e del contenimento delle risorse, come è possibile provare a coniugare il binomio quantità/qualità? Quantità e qualità in sanità non sono e non devono essere considerate in maniera antitetica, pur tuttavia il concetto di qualità in medicina e non solo non può prescindere da quello di “esito”, ed in tal senso tutti gli atti diagnostico-terapeutici oltre alla loro mera esecuzione dovrebbero avere come fine ultimo quello di contribuire a dare risposte a quesiti clinici. In questa logica di risultato andrebbe ripensato l’impiego delle risorse umane, strutturali e tecnologiche in ambito sanitario. Cosa ne pensi?
Penso che la qualità delle prestazioni sanitarie sia un elemento essenziale nella organizzazione e gestione di un sistema sanitario. I cittadini devono conoscere non solo come vengono utilizzate le risorse provenienti dalle loro tasse ma anche se vengono utilizzate appropriatamente con qualità. Non è più accettabile che un paese spenda in risorse sanitarie più di 130 miliardi di euro l’anno senza conoscere il livello di qualità delle prestazioni che eroga. Il problema però è come misurare la qualità. In Italia ci sono alcuni tentativi virtuosi da parte del nostro Ministero della Salute di misurare la qualità. I PDTA di patologie croniche rilevanti hanno definito specifici indicatori di processo e di esito. Il Piano Nazionale Esiti prodotto da Agenas è un altro esempio di misura della qualità delle prestazioni in ambito di patologie rilevanti. Questi esempi, che considero comunque molto positivi, hanno una limitazione rilevante: i dati utilizzati per le valutazioni sono quelli generalmente provenienti dai flussi amministrativi, che sono informativi ma che contengono poche variabili cliniche utili a definire la reale severità delle patologie oggetto di valutazione. L’iniziativa della Società Europea di Cardiologia denominata EuroHeart ha la finalità di far crescere una cultura nuova nel miglioramento e valutazione della qualità delle cure. Partendo dall’esempio svedese di SwedeHeart, l’obiettivo è quello di sviluppare registri nazionali focalizzati al miglioramento della qualità delle cure attraverso una raccolta continua di dati clinici in aree cardiovascolari rilevanti come quelle delle sindromi coronariche acute, l’insufficienza cardiaca, la fibrillazione atriale e le malattie valvolari. La cardiologia italiana parteciperà a questa iniziativa con circa 50 centri rappresentativi della realtà nazionale. Spero davvero che questo sforzo possa essere utile anche alle autorità sanitarie nazionali, in particolare ad Agenas, che potranno affiancare alle iniziative già in atto sopra descritte, un modello di valutazione di indicatori di qualità basati sulla conoscenza di tutte le variabili cliniche necessarie a definire il livello di gravità dei pazienti e di conseguenza un confronto più affidabile dei loro outcome.

“La qualità non è mai casuale; è sempre il risultato di uno sforzo intelligente”
John Ruskin

Viviamo nel pieno di una rivoluzione globale e tra le tante sfide del nostro tempo vi è quella di riuscire a governarla con sapienza ed intelligenza… umana ed artificiale. Una delle più prestigiose riviste internazionali, il NEJM, ha da meno di un anno inaugurato una nuova rivista mensile con lo scopo di esplorare le possibili applicazioni dell’IA (Intelligenza Artificiale) in ambito medico. Come immagini che la reale crescita digitale del nostro SN (vedi Fascicolo SE 2.0) e l’applicazione dell’IA potrebbero aiutarci per rendere più equa su tutto il territorio nazionale la qualità dei nostri servizi sanitari?
Relativamente al tentativo di rendere più equa su tutto il territorio nazionale la quantità e qualità dei nostri servizi sanitari mi pare ci siano più passi indietro che avanti. Quello che si legge sulla proposta di Autonomia Differenziata, attualmente in discussione in Parlamento, sembrerebbe aprire ancora di più la forbice delle differenze, e su questo bisognerà vigilare con attenzione. Le differenze esistono purtroppo, anche il nostro Censimento delle Strutture Cardiologiche nazionali, pubblicato da poco nel febbraio 2024, lo documenta chiaramente. La digitalizzazione potrebbe aiutare a fornire dati sempre più numerosi, completi e affidabili per valutare quantità e qualità delle cure. A mio parere, il fascicolo sanitario elettronico (FSE), che citi nella tua domanda, sarà sicuramente utile per un suo utilizzo così detto primario, cioè per migliorare il livello di informazioni sulla storia clinica di ogni soggetto residente nel nostro paese. Ovunque una persona dovesse avere la necessità di una prestazione sanitaria, in Italia, nell’ambito della Unione Europea o teoricamente nel mondo, potrà avere con sé la possibilità di rendere noto all’operatore sanitario che lo avrà in cura tutta la sua storia clinica, gli esami strumentali o di laboratorio eseguiti nel passato. Più difficile mi sembra un utilizzo di questi dati ai fini epidemiologici o di ricerca in genere. Ostacoli legati alle regole che proteggono la privacy e la tipologia dei FSE stessi, che sono spesso contenitori di documenti in formato pdf, che sono diversi da regione a regione, rendono molto improbabile, a breve, un utilizzo cosiddetto secondario dei dati raccolti nei FSE. Il problema non è solo italiano ma europeo. Le iniziative della Unione Europea (Darwin e EHDS) hanno di fronte problemi analoghi che si sono proposti di risolvere entro al fine del 2026.

È stato appena pubblicato su Circulation un importante Scientific Statement dell’American Heart Association sull’impiego dell’IA in cardiologia. Quanto già oggi IA e machine learning fanno parte della nostra pratica clinica in ambito cardiologico? Quanto della ricerca cardiologica presente e futura?
Ad oggi IA e machine learning sono ancora in una fase più sperimentale che di utilizzazione diffusa e concreta nella pratica clinica, per lo meno nel nostro paese. Allo stato attuale ci sono eccellenti esempi di utilizzo di questi strumenti soprattutto nell’ambito dell’imaging. Saranno sicuramente strumenti che verranno utilizzati nella pratica quotidiana come supporto alle decisioni cliniche dopo una loro valutazione formale in termini di reale affidabilità. Lo spirito critico va ovviamente sempre mantenuto.

Chi controllerà la qualità dell’applicazione degli algoritmi di IA in ambito sanitario? La comunità scientifica è adeguatamente coinvolta? Possiede gli strumenti culturali e “tecnici” per governarla e regolamentarla con qualità?
Non sarà facile controllare la qualità degli algoritmi di IA perché spesso non sono noti, ma una valutazione degli esiti derivanti dal loro utilizzo è possibile utilizzando le metodologie scientifiche anche tradizionali. Un problema rilevante è legato al fatto che per valutare affidabilmente il profilo di beneficio/rischio di questi strumenti serve tempo e l’evoluzione tecnologica è così rapida che nel momento in cui si ottiene una risposta affidabile sulla qualità di una applicazione di IA o machine learning, questa potrebbe essere considerata già obsoleta. Si ripropongono le difficoltà esistenti per la valutazione dei device in genere. Anche in questo caso la digitalizzazione, offrendo dati in misura molto rilevante e tempestiva, potrebbe aiutare a fare valutazioni efficienti in tempi ridotti rispetto agli standard attuali.

“Oggi produciamo una grande quantità di conoscenza, qualitativamente elevata, ma non siamo in grado di trasformarla in un valore economico e sociale”
Rita Levi Montalcini

Nell’ambito delle patologie CV, che anche nel nostro Paese continuano purtroppo a mantenere il primato per prevalenza e causa di mortalità, le scelte diagnosticoterapeutiche hanno seguito/seguono prevalentemente logiche di costo/ efficacia basate sull’Evidence Based Medicine (EBM)? Qual è il rischio che corriamo in termini di qualità se non correggiamo i risultati di costo/ efficacia ottenuti su campioni di individui per risultati per paziente, come si prefigge di fare la medicina personalizzata e di precisione?
La EBM e i principi di applicazione che frequentemente hanno guidato le scelte cliniche hanno portato a risultati straordinari in ambito cardiovascolare e non solo. È vero che l’approccio della EBM è rivolto più alle popolazioni di pazienti che non al mio paziente che è diverso da tutti gli altri ma, dall’inizio degli anni ‘90, quando cominciò a diffondersi il concetto di EBM si è assistito, a livello globale, a un miglioramento degli outcome cardiovascolari. In Italia la mortalità per infarto miocardico e scompenso cardiaco si è più che dimezzata da allora. La medicina personalizzata e di precisione è la nuova sfida, senza però che venga abbandonato il principio fondante della EBM e cioè quello di utilizzare metodologie diagnostiche o terapeutiche con alle spalle una dimostrazione affidabile di efficacia. L’utilizzo di biomarcatori sempre più specifici, della genetica ed anche di IA, machine learning applicati a big data potranno essere utili per definire nuovi fenotipi di pazienti sempre più specifici sui quali sperimentare nuove soluzioni terapeutiche. Ora e in futuro una valutazione attenta della costo/ efficacia di nuove terapie innovative, generalmente ad alto impatto economico, deve entrare a far parte della nostra cultura. Il cardiologo clinico si trova sempre più spesso di fronte a pazienti molto anziani con molteplici comorbidità e pluritrattati per i quali una applicazione acritica delle linee guida può portare ad alti costi con una probabilità di beneficio estremamente bassa. In questo contesto la valutazione del costo efficacia di nuovi o consolidati trattamenti deve essere svolta utilizzando dati che provengono dal mondo reale, ricco di situazioni cliniche che raramente sono incluse nei classici randomized clinical trial.

La medicina traslazionale, che ha come obiettivo la trasformazione dei risultati ottenuti dalla ricerca di base in applicazioni cliniche (from bench to bedside), può essere la strada da perseguire per ottenere un miglioramento complessivo, e pertanto oltre che clinico, anche economico e sociale dell’assistenza sanitaria dei pazienti cardiologici?
La ricerca traslazionale in cardiologia ha come obiettivo il trasferimento dei risultati ottenuti dalla ricerca di base in applicazioni cliniche (from bench to bedside), al fine di migliorare ed implementare i metodi di prevenzione, diagnosi e terapia delle patologie cardiovascolari. Ma non sempre il percorso è stato from bench to bedside ma in molti casi è avvenuto l’esatto contrario from bedside to bench e poi nuovamente to bedside. Pensa all’esempio degli ACE-inibitori nello scompenso cardiaco. Furono testati in quanto vasodilatatori e antiipertensivi, ma quando si osservò che determinavano un beneficio rilevante in termini di riduzione di eventi clinici che altri vasodilatatori, anche più potenti, non determinavano si ritornò al laboratorio di ricerca che aprì la strada al concetto e al ruolo dei meccanismi neuro ormonali nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta. Più recentemente con gli SGLT2 inibitori si sta configurando lo stesso fenomeno, da farmaci antidiabetici allo studio e scoperta di meccanismi di azione capaci di giustificare il beneficio di questa classe di farmaci in diverse condizioni cliniche ed anche in soggetti non diabetici. Sarebbe bello che ANMCO potesse allargare il suo interesse scientifico da studi di tipo epidemiologico e randomizzati di grande dimensione anche a studi di tipo fisiopatologico, di più piccola dimensione e con necessità di tecnologie più sofisticate. La creazione di gruppi limitati di centri clinici capaci di condurre affidabilmente studi di tipo fisiopatologico sarebbe davvero auspicabile. La tradizione di ricerca ANMCO ha solo un numero di esempi molto limitato in questo senso. Il prossimo futuro potrebbe aprirsi anche a queste esperienze. La Next Generation ANMCO potrebbe essere il volano e il terreno fertile per questo tipo di iniziative.

“Tu farai bene a non prendere in considerazione costoro che badano, nei loro discorsi, alla quantità, e non alla qualità delle cose dette”
Seneca, Lettere a Lucilio

Le diverse società scientifiche internazionali, come l’ESC per le patologie CV, hanno stabilito degli standard/indicatori di qualità sulla base delle attuali raccomandazioni delle linee guida. Fermo restando l’importanza della conoscenza e del rispetto delle linee guida nella pratica clinica, tutti coloro che si sforzano giornalmente di tradurre il “Verbo” in vita vissuta nelle corsie delle nostre U.O. Cardiologiche conoscono benissimo i gap tra il mondo dei trial ed il real world. Quanto i sistemi attualmente vigenti di controllo della qualità sanitaria hanno poi come obiettivo quello di agire sulle ragioni profonde organizzativo/gestionali che possano consentire una crescita reale sulla strada della qualità e dell’equità di trattamento dalle Alpi a Lampedusa, come la nostra Costituzione vorrebbe?
Il “Verbo” contenuto nelle linee guida deve essere trasferito, come e quando è possibile, al singolo paziente della pratica clinica che molto spesso non rientra nelle categorizzazioni inevitabilmente rigide delle linee guida. I gap che ne emergono possono essere dovuti a varie ragioni, il paziente non rientra per i motivi più vari nelle categorie descritte nelle linee guida, esistono carenze conoscitive da parte degli operatori sanitari, c’è una loro inerzia prescrittiva anche a fronte di una accettabile conoscenza della materia. Qui il ruolo delle Società Scientifiche diventa molto rilevante perché possono creare la cultura della osservazione e miglioramento continuo della qualità. Non credo che, in questo ambito, programmi di tipo educazionale/formativo siano sufficienti. La raccolta del dato nel singolo paziente in maniera continuativa, collegato con una valutazione in tempo reale della aderenza agli indicatori di qualità può servire a ricordare le raccomandazioni più rilevanti delle linee guida, evidenziare quali sono le principali ragioni di non aderenza alle linee guida, gli ostacoli di tipo clinico e/o organizzativo nell’applicarle, definire quali ambiti necessitino di risposte che i trial clinici non hanno ancora fornito e quindi possano essere il terreno di ricerche future. Se i trial randomizzati sono lo strumento più adatto per definire il profilo di beneficio/rischio di un trattamento, la metodologia osservazionale ha in questo ambito di promozione del miglioramento della qualità delle cure un ruolo essenziale. I progetti BRING-UP Scompenso e BRING-UP Prevenzione che ANMCO sta conducendo in un larghissimo e rappresentativo numero di strutture cardiologiche italiane vanno in questo senso. Ancora più efficace potrebbe essere la metodologia proposta dalla Società Europea di Cardiologia con il progetto EuroHeart che abbiamo accennato prima. Il contesto di EuroHeart potrebbe anche essere l’ambito nel quale, a livello internazionale, con un basso costo ed una elevata rappresentatività dei pazienti coinvolti, potrebbero essere pianificati e condotti registry-based randomized trials, per rispondere a quelle domande cliniche che non trovano ancora risposta all’interno delle linee guida e che emergono come bisogni inevasi dalla raccolta continuativa dei dati all’interno della pratica clinica.

“Il nostro errore più grave è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha”
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Last but not least, quanto ridare qualità alla professionalità degli operatori sanitari conta per poter sperare nella qualità oltre che nella resistenza del nostro sistema sanitario? Forse dopo le tante parole e promesse della pandemia da SARSCOV2, il cuore della qualità della sanità italiana meritava ben altro.
Effettivamente i buoni propositi generatisi durante la pandemia sono stati quasi completamente dimenticati. Il Servizio Sanitario universalistico va difeso a tutti i costi, è una delle ricchezze più preziose del nostro paese. L’evoluzione tecnologica tenderà sempre di più a modificare i rapporti medico paziente una volta basati fondamentalmente sul rapporto di fiducia. Questi rapporti vanno ripensati, riscritti e contestualizzati in una realtà diversa dove le fonti di informazione sono sempre più presenti e in qualche caso invadenti e fallaci. In sanità le fake news abbondano più che in altri ambiti della conoscenza umana. Autorità Sanitarie, Università e Società Scientifiche hanno ed avranno una responsabilità fondamentale in questa ridefinizione del ruolo e della percezione sociale della figura del medico e dell’operatore sanitario in genere.

Autore