I Cardiologi e la prescrizione dell’attività fisica

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I Cardiologi e la prescrizione dell’attività fisica

L’attività fisica è un caposaldo della prevenzione e del trattamento delle malattie cardiovascolari poiché correla con riduzione degli eventi, riduzione delle ospedalizzazioni, miglioramento del profilo di rischio, della qualità della vita e della attesa di vita. Le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) sulla prevenzione includono la scarsa attività fisica tra i fattori di rischio cardiovascolare modificabili e sottolineano come l’impatto prognostico favorevole dell’attività fisica regolare sia stato dimostrato in entrambi i sessi ed in tutte le fasce d’età1. Il counseling relativo all’attività fisica e la prescrizione della stessa dovrebbe essere il componente centrale di tutti i programmi di prevenzione cardiovascolare2. Tuttavia, la prescrizione dell’esercizio fisico risulta spesso difficoltosa per il Cardiologo clinico in considerazione della necessità di adattarla alle caratteristiche di ciascun paziente, degli obiettivi individuali che possono essere variabili (obesi, diabetici), delle comorbidità eventualmente presenti (malattie vascolari periferiche, malattie polmonari), e della attitudine, aderenza e motivazione del paziente stesso. Le linee guida raccomandano una prescrizione che sia individualizzata in termini di frequenza, intensità, tempo (durata), tipo e progressione1. Di conseguenza la prescrizione dell’esercizio fisico è spesso trascurata, eccessivamente semplificata o al contrario estremamente eterogenea nella pratica clinica. Partendo da queste premesse l’Area Prevenzione Cardiovascolare ha proposto una Survey sulla prescrizione dell’attività fisica. L’obiettivo è stato quello di registrare l’atteggiamento dei Cardiologi italiani nei confronti di questa importante prescrizione ed individuare le difficoltà concrete che limitano l’implementazione della prescrizione dell’attività fisica nella pratica clinica. Il campione analizzato è costituito da 338 risposte ad un questionario inviato a 4.300 cardiologi. La stragrande maggioranza dei Cardiologi che ha partecipato al sondaggio (72,8%) ritiene fondamentale il regolare svolgimento di attività fisica quale strumento di prevenzione e l’89,6% promuove regolarmente fra i propri pazienti lo svolgimento di attività fisica. Un aspetto particolarmente importante è che oltre un quinto degli intervistati dichiara di non avere sufficiente tempo per promuovere l’attività fisica come valido strumento di prevenzione, istruire il paziente circa l’entità dell’attività che dovrebbe essere svolta e i relativi benefici (Figura 1).

Figura 1

Un terzo di quanti hanno risposto al sondaggio ritiene che sia preferibile l’ambiente ospedaliero per questo tipo di comunicazione e un terzo privilegerebbe invece il setting ambulatoriale. Poco più della metà del campione (59,6%) considera importante l’attività fisica quanto il trattamento farmacologico ai fini della prevenzione e il 33,1% addirittura più importante. Prevedibilmente più di tre quarti del campione (77,2%) conosce le linee guida sulla entità di attività fisica consigliabile a fini preventivi (da 150 a 300 minuti la settimana di attività moderata o 75-150 minuti la settimana di attività intensa). Alla domanda “Dopo quanto tempo raccomandi la regolare ripresa dell’attività fisica aerobica amatoriale ad un paziente ospedalizzato a seguito di un evento cardiovascolare maggiore che risulta asintomatico e in condizioni cliniche stabili” il campione si è diviso sostanzialmente a metà fra due posizioni: “coraggiosa” o “attendista” (Figura 2).

Figura 2

Il 50% ha risposto “subito dopo la dimissione purché l’inizio sia di bassa intensità e la progressione graduale”. Un complessivo 34,1% ha preferito un più prudente dopo 3-4 settimane, la minoranza (circa 16%) si è attestato su un intermedio 1-2 settimane. Più variabili sono le opinioni riguardo gli effetti ascrivibili alla quantità di attività fisica praticata: ben il 53% ritiene che una attività fisica intensa si associ a una mortalità maggiore rispetto all’attività fisica moderata mentre solo il 22,8% è convinto che l’effetto benefico sul sistema cardiovascolare è tendenzialmente crescente con l’aumentare delle ore di allenamento. Solo il 52,1% poi è a conoscenza che il rischio di fibrillazione atriale è 5 volte maggiore negli atleti di resistenza con più di 2000 ore di attività. Infine, ben il 53,8% del campione ritiene sufficiente “fidarsi” di quanto riferito dal paziente riguardo all’aderenza alla prescrizione dell’attività fisica, mentre solo il 3,3% utilizza dispositivi indossabili a questo scopo e il 2,7% sui avvale del test ergometrico per valutare oggettivamente gli effetti del training sulla capacità fisica del paziente (Figura 3).

Figura 2

Il 33,1 % afferma di associare all’anamnesi un altro metodo oggettivo/strumentale di valutazione. Dai risultati della Survey emerge dunque come vi sia una generale conoscenza delle raccomandazioni delle linee guida ESC sull’entità dell’attività fisica da praticare per ridurre il rischio cardiovascolare. Vi è però una quota ancora troppo alta di clinici (circa l’8%) che non considera l’attività fisica come un intervento preventivo di importanza almeno pari ai trattamenti farmacologici. Questo aspetto va certamente riconosciuto e corretto perché solo partendo dalla consapevolezza da parte del clinico del ruolo imprescindibile dell’attività fisica nell’ambito della prevenzione che si possono mettere in atto strategie mirate a implementarne la pratica. Tra gli interventi suggeriti dalle linee guida ESC vi è il ricorso a dispositivi indossabili (es smartwatch) come rilevatori di attività finalizzati proprio a favorire un incremento dell’attività fisica praticata. In accordo con i risultati della nostra Survey, tali strumenti risultano ancora poco usati nella pratica clinica. Un altro aspetto da considerare è l’incoraggiamento a praticare un’attività che i pazienti fanno con piacere e possono includere facilmente nella routine quotidiana, in maniera tale che vi sia una maggiore probabilità che poi venga praticata con costanza nel tempo. È inoltre da sottolineare che per gli individui sedentari anche un’attività di lieve intensità (1.1-2.9 Met, come camminare ad una velocità < 4.5 km/h o praticare faccende domestiche leggere), della durata più breve di quanto raccomandato (ad es 15 minuti al giorno), può apportare dei benefici. È dunque proprio arrivato il momento di muoversi e fare muovere i nostri pazienti!

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