Ciro Indolfi, Batticuore. Come vivere bene e più a lungo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2023, pp. 142, euro 16,00
Tra gli intensi processi interdisciplinari che caratterizzano lo sviluppo dei saperi nella società contemporanea particolarmente significativo è il rapporto che si è andato realizzando negli ultimi decenni tra l’ambito pedagogico-educativo e quello medico-sanitario, grazie alla centralità che i due ambiti riservano al tema dell’Uomo e delle sue modalità di “essere nel mondo”. A favorire tale rapporto ha indubbiamente contribuito il nuovo concetto di salute, solennemente affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’indomani della sua costituzione (1946). Secondo l’Autorità internazionale, in questo sostenuta da una nutrita letteratura sulla teoria della felicità (happiness) e su quella del benessere (well-being), la salute non è semplicemente l’assenza di malattia o infermità, ma è “uno stato di benessere fisico, psichico e sociale”. Tale nuovo concetto di salute ha messo in crisi la vecchia concezione della medicina clinica e curativa, non più in grado di rispondere alla pressante domanda sociale di salute, a favore di una medicina decisamente orientata alla prevenzione, all’interno di una visione olistica e integrale del problema che chiama in causa, in termini di responsabilità e di consapevolezza etica, singoli individui e istituzioni sociali pubbliche e private. Ne consegue un deciso superamento della correlativa vecchia formazione dell’operatore sanitario, tutta incentrata su una epistemologia positivista della pratica medica, intesa come “progettazione” finalizzata al superamento di situazioni problematiche attraverso apparati cognitivi accreditati e definiti in forma protocollare, a favore di una prospettiva che fa di esso un professionista riflessivo, capace di muoversi attraverso diversi setting di conoscenza complessi e mutevoli e di costruire un pensiero consapevole rapportato al contesto; un professionista che sappia dare valore all’esperienza vitale del suo agire professionale e che, seppur abituato a riconoscere e a risolvere la malattia nelle forme delle evidenze mediche, sappia rapportarsi positivamente con il paziente che ha di fronte e comprendere quanto l’esperienza della di lui malattia s’intrecci con il senso complessivo della sua vita. Nel solco della pedagogia della salute si situa, a mio giudizio, il bel volume di Ciro Indolfi, che sta per vedere un’edizione inglese. Il prof. Indolfi è un eminente cardiologo interventista dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, del quale il sottoscritto, malgré lui, ha sperimentato in due occasioni la nota perizia tecnica e la grande generosità umana. Nel suo scritto l’illustre cattedratico presenta in una forma narrativa semplice ed efficace, che spesso raggiunge livelli letterariamente apprezzabili, una lunga lista di eventi di forte criticità cardiologica che si sono felicemente risolti. Da quegli eventi, inseriti in un ricco e documentato apparato di dati statistici sulla consistenza di alcune patologie oggi maggiormente diffuse in Italia e nel mondo, l’Autore trae spunto per offrire suggerimenti assai preziosi sullo stile di vita da seguire, sia il livello di prevenzione che di cura, e per avanzare alcune considerazioni sulle criticità più rilevanti del sistema sanitario nazionale soprattutto nel Mezzogiorno. Da pedagogista interessato alla collaborazione con le discipline medico-sanitarie in una logica di circolarità dei “prestiti dei saperi” (Bruner), che mi ha portato a partecipare agli inizi degli anni ’90 al primo dottorato di ricerca in “Pedagogia delle scienze della salute” attivato in Italia, tendo a collocare il lavoro del prof. Indolfi nell’ambito delle Medical Humanities e, sia pure indirettamente, in quello della Medicina narrativa. Com’è noto, più che essere un corpo di discipline o una serie di pratiche e di strumenti “innovativi” a disposizione del professionista della cura, le Medical Humanities esprimono la consapevolezza del curante che la relazione con il paziente è fondamentale e integrativa dell’intervento medico-clinico: la cura è senz’altro di tipo medicoterapeutico, ma si completa con la relazione che il medico è capace di costruire con il paziente. Da qui l’importanza della Medicina narrativa, denominata anche bio-psicosociale, che si differenzia da quella tradizionale bio-medica, poiché mette al centro dell’attenzione la relazione medico-paziente. Il medico fa suo il paradigma della narratività come stile nella relazione di cura, sollecitando il paziente (se lo desidera) a produrre a sua volta una narrazione o una storia di sé. In tal modo il curante sperimenta su di sé una scrittura sulla propria pratica clinica che, se pure tecnico-scientifica e professionale, è attraversata da emozioni e sentimenti che lo portano a stabilire un ponte tra il proprio mondo e quello del paziente e a sviluppare una sensibilità narrativa e un ascolto sensibile. Non so quanto l’Autore del pregevole volume si riconosca in tale interpretazione, ma nell’impostazione e nella narratività della scrittura ci ho visto i segni di un’intenzionalità pedagogica e di un caldo coinvolgimento nella pratica di cura, che sono le cifre del senso e del significato dell’essere “uomo”. “Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt”, scrive Virgilio nel I libro dell’Eneide: “la storia è lacrime, e l’umano soffrire commuove la mente”, nella traduzione del Rostagni.